Con la sentenza n. 25102 del 7 Dicembre del 2016 la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è intervenuta in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dettando un orientamento in contrasto con quello precedentemente assunto in via sostanzialmente consolidata dalla stessa, più incline a proteggere lo spazio della libera iniziativa economica privata, in particolare affermando il principio secondo cui “ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare”.

Prima della decisione in questione, la possibilità di ricorrere alla fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, cioè per ragioni inerenti all’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro, sarebbe stata possibile soltanto ove il datore di lavoro dimostrasse l’esistenza di una situazione economica sfavorevole a cui fare fronte.

Con la pronuncia di dicembre in commento, la Corte Suprema ricostruisce una motivazione che esclude tale presupposto quale elemento indefettibile per la tipologia di licenziamento in questione: ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quindi, sono sufficienti ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, ivi comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale, ovvero ad un incremento dell’attività d’impresa, purché idonee a determinare un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo.

La Corte di Cassazione, nella sentenza in argomento, ha infatti osservato che, dal tenore letterale dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, non risulta la necessità di una crisi di impresa come presupposto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La legge nulla dice al riguardo, né tantomeno la Costituzione o il diritto dell’Unione Europea impongono una limitazione ex ante delle ragioni sottese alle scelte organizzative riservate all’imprenditore, scelte che non possono essere valutate dal Giudice quanto ai profili di congruità ed opportunità, nel rispetto della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione.

Il legislatore non pone quindi alcun vincolo di carattere economico per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, secondo la sentenza in argomento, affermare il contrario significherebbe inserire nella fattispecie un elemento non previsto dalla norma. Significherebbe quindi negare il principio di cui all’art 41 della Costituzione, secondo cui l’imprenditore è libero di assumere quelle decisioni atte a rendere più efficiente e funzionale la propria azienda, introducendo così un limite gravemente vincolante per l’autonomia di gestione dell’impresa.

Quanto detto, peraltro, non significa assimilare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ad un recesso ad nutum, privo cioè di motivazione, in quanto la circostanza che effetti di ristrutturazione organizzativa possano essere originati dall’obbiettivo di una migliore efficienza gestionale o produttiva, ovvero finalizzati ad un incremento della redditività d’impresa (e quindi eventualmente del profitto), e che prescindano da situazioni sfavorevoli, non significa affatto che la decisione imprenditoriale sia sottratta ad ogni controllo e sfugga a ben precisi limiti. È infatti sempre e comunque necessario:

  • che la riorganizzazione aziendale sia effettiva;
  • che la stessa si ricolleghi causalmente alla ragione dichiarata dall’imprenditore;
  • che il licenziamento si ponga in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all’operata riorganizzazione;
  • che il licenziamento non sia pretestuoso, né motivato da ragioni discriminatorie o ritorsive.

Il principio introdotto dalla sentenza n. 25102/2016 commentata è stato recentemente confermato dal Supremo Collegio con la sentenza n. 4015 del 15 febbraio 2017. Tenuto però presente il consolidato orientamento della Cassazione precedente alla sentenza del dicembre 2016, secondo cui la soppressione del posto di lavoro non poteva essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma doveva essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti, è auspicabile un intervento delle Sezioni Unite che dirima il contrasto e stabilisca quale sia l’interpretazione conforme al diritto e ai principi che regolano i rapporti lavorativi.